Questo video tratto da un cinegiornale dell’Istituto Luce del 1956 mi ha colpito per la sua profonda attualità, forse non del tutto evidente.

Si tratta di un servizio dedicato all’inaugurazione di un “cosiddetto supermercato“, avvenuta all’interno del “romano palazzo delle Esposizione dell’EÚR” alla presenza del presidente della repubblica Gronchi, del ministro Campilli e di numerose autorità civili e militari. Il video è presente anche nella bella mostra del Google Cultural Institute: “1955 – 1965 – Years of Dolce Vita”.

Tra gli inchini e i sorrisi di uomini politici e di industriali nati verso la fine dell’800, Gronchi riceve una grottesca chiave “con la quale simbolicamente verrà aperto” il 3° Congresso internazionale della distribuzione dei prodotti alimentari. Il cronista offre una definizione del “Supermercato USA” degna di Neri Marcorè in una parodia di Alberto Angela, chiama “massaie” alcune ragazze dal look anni ’60 e osserva che al supermercato si trovano tutti i “prodotti per la mensa“, accennando alla “buona fede” che lo ispira, vista l’assenza di commessi.

Ora, essendo nato a Roma in quel periodo, trovo del tutto familiari i volti, le pettinature, i vestiti e le macchine che si vedono nel video, e credo di cogliere bene i segni del benessere, del candore e dell’entusiasmo che rappresentano un po’ lo spirito degli anni ’60. Non ho altrettanta familiarità con lo stile di quei cinegiornali, le marcette ridicole, i toni edificanti e le voci marziali, tratti retorici di derivazione veteroitaliana o fascista che ovviamente non ho conosciuto direttamente.

Forse per questo colgo nel video i segni di una contraddizione tra modernità e tradizione che accompagna l’Italia da sempre: da un lato c’è la soddisfazione per lo sbarco in città del supermercato, visibile nell’allegria e nel leggero imbarazzo delle donne che fanno la spesa; dall’altro invece c’è la retorica del cinegiornale, che strizza l’occhio ai giovani e all’America ma invita alla cautela per compiacere valori e generazioni passate. Guardando quelle scene oggi mi rendo conto che quella retorica era malamente sovrapposta ad una realtà del tutto diversa che sarebbe esplosa dopo pochi anni. Mi accorgo di avere potuto vivere quella modernità e di avere potuto ignorare quella retorica, semplicemente perché lo cose sono andate così.

Oggi quella contraddizione sembra riemergere: da un lato chi vive l’innovazione digitale dopo averla immaginata, desiderata, ricercata e adottata; dall’altro la retorica delle novità da tenere d’occhio, delle grandi difficoltà, delle necessarie cautele verso Internet, le “nuove tecnologie”, l’innovazione in generale.

Ma oggi come allora le persone reali intuiscono che questa retorica è un falso, mentre l’informazione e la politica continuano a diffonderla. Credo sia sempre più evidente che ciò che ostacola l’adozione e la diffusione del nuovo nel nostro paese non è la cautela da parte di chi lo vuole abbracciare ma il rigetto da parte di chi non ha alcun motivo per promuoverlo.